Oru Kami: un doppio cd di Simona Armenise



di Lorena Liberatore



 Oru Kami è il titolo di un album di Simona Armenise (2016): un lavoro legato al progetto solista sperimentale Simona Armenise SoloSet - Contemporary Sounds (prodotto da Verterecords della Sorriso Edizioni Musicali di Bari), che mette al centro della scena chitarre preparate (o meglio, chitarre baritone con accordature non standard), loop machine, synth, e molto altro ancora. 

 Il risultato è un interessante concept album il cui tema base è un viaggio interiore d’ampio respiro, ricco infatti di atmosfere oniriche e riflessive in cui l’artista si destreggia tra l’uso di elettronica e improvvisazione. Arrangiamenti atipici e sperimentazioni segnano interamente i brani, a metà strada tra il rock più alternativo e il jazz passando per i più recenti risultati del neoprogressive. La particolarità artistica di Simona sta nell’utilizzo dei dispositivi elettronico-musicali in tempo reale. 

 Di particolare interesse sono i brani Akira, Thor's Well (Gliding on Cape Perpetua, in the Hole of Thor's Well), Landscapes, Haiku – Keimyou - Yuuga, e Trance Afro-Medioriental Express, in cui si passa da atmosfere dolci ed evocative, dove il loop (per i meno esperti: una sezione in cui un suono o un loro insieme viene riprodotto ripetutamente) portato ai massimi termini ricorda i temi ossessivi dell’ambient, fino all’uso estremo dell’elettronica spesso governata dal synth. Tale risultato talvolta conduce chi ascolta verso veri e propri ritmi da rave (basti pensare ad Akira). 

 Lo stesso principio di varietà mescola suoni naturali ed elaborati elettronicamente, temi costruiti o ben strutturati e improvvisazione. Per accurate pennellate si descrivono ora scorci metropolitani (Akira) ora paesaggi naturali (Landscapes), ora luoghi abitati dalla civiltà ora non toccati dalla mano dell’uomo. Paesaggi esplicitamente menzionati nel caso di Thor's Well, in cui si cita il famoso Pozzo di Thor, così chiamato in riferimento al dio del tuono nato dalla mitologia scandinava: un cratere naturale che si trova a Cape Perpetua (un grande promontorio boschivo che si affaccia nell'Oceano Pacifico) lungo la costa dell'Oregon e in cui si gettano le acque del mare durante l'alta marea. In una sorta di carrellata cinematografica si scende dalla cima di Cape Perpetua per poi scivolare in Thor's Well (detto anche cancello per l'Inferno!). 

 Il suono è ampiamente curato e strutturato fin nei minimi dettagli grazie all’uso dei più svariati mezzi: e-bow, chitarre acustiche utilizzate in modo da ottenere effetti percussivi, synth, pad di ogni tipo, chitarre baritone… e persino pennelli usati per sfiorare le corde! 

 Effetti percussivi e basso subentrano a far da spalla a Simona definendo una perfetta alchimia ritmica, in particolare là dove il suono da riflessivo si fa incalzante e il viaggio sonoro si fonde con un fuoriclasse del contrabbasso. Infatti, non si può non menzionare Ares Tavolazzi, lo storico ed eclettico bassista degli inimitabili Area e session man di importanti artisti come Francesco Guccini, Antonello Venditti, Paolo Conte, Eugenio Finardi, e Vinicio Capossela.

 Oru Kami sono le parole che generano Origami (Oru = piegare, Kami = carta), l'antica arte giapponese del piegare la carta per dar vita a figure di vario genere (fiori, animali, ecc.), una pratica riflessiva e in qualche modo conoscitiva che nasconde in sé qualcosa di sacro ed educativo, un percorso interiore in una sorta di monologo degli stati di coscienza. E mutevolezza potrebbe essere un’altra parola chiave per descrivere questo lavoro, per mezzo del suono si disegna, infatti, la mutevolezza dei pensieri come quella del tempo (e di tutto quello che è ad esso suscettibile). 

 La complessità culturale che sta all’origine dei brani è segnata anche da colte citazioni, disseminate fin nei titoli dei brani stessi, e che spaziano dalla cultura antica e mitologica a quella giapponese, dall’arte figurativa alle sperimentazioni sonore di Erik Satie. A questo proposito, degno di nota è proprio Akira, ispirato all’omonimo capolavoro d’animazione giapponese di Katsuhiro Ōtomo e in cui compare una Neo-Tokyo del 2019 ricostruita sulle proprie rovine poiché semidistrutta da un'esplosione atomica. 

 In Haiku – Keimyou – Yuuga la primissima parola del titolo segna l’ispirazione all’omonimo componimento poetico giapponese del XVII secolo, composto da soli tre versi e usato per descrivere la natura e i comportamenti umani da essa ispirati. Il brano infatti è un trittico formato da tre diverse atmosfere, la prima di semplice e malinconica immedesimazione nel paesaggio, la seconda abbozza lo stato d’animo della leggerezza e del divertimento (Keymyou) e la terza della delicatezza (Yuuga). 

 Non si può non menzionare anche la copertina dell’album prodotta da Franco Altobelli, esperto della Comunicazione Visiva, la cui realizzazione vede l’uso di fogli di giornale come tela su cui andare a disegnare paesaggi e visioni psichedeliche; nello specifico si tratta di foto elaborate digitalmente e poi stampate su carta da rivista con interventi manuali ad acrilico e gessetti. 

 La disposizione verticale delle parole che porta in primo piano le iniziali O e K, le tonalità azzurrine, come il movimento circolare dato dall’onda, fanno ricordare in qualche modo la copertina di Ok Computer dei Radiohead. E gli stessi vengono a tratti ricordati da alcune fuggenti sonorità elettroniche che fanno pensare alle loro soluzioni più sperimentali, in stile Kid A

 È merito di Daniele Coricciati invece, la realizzazione di un videoclip e di un book fotografico ambientati in cave di pietra e basati su suggestioni naturali e realizzazioni live di origami. 

 Infine, L'abito della sposa è una rivisitazione del brano di Tony Levin e Ivano Fossati, il video è un live set girato in presa diretta dal regista Roberto Ficarella durante la fase di registrazione dell'album. 


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