Il viaggio salvatico di Gianpaolo Mastropasqua: la ‘potenza musicale epica’ che si traduce in poesia
di Lorena Liberatore
Gianpaolo Mastropasqua ha pubblicato Silenzio con variazioni (2005), Andante dei frammenti perduti (2008), Partita per silenzio e orchestra (2015), e Danzas de amor y duende (Valencia, 2016), Dansuri de dragoste si duende (Bucarest, 2017), in edizioni bilingue.
Ha partecipato, tra gli altri, al Sardam Alternative Literary Readings Festival di Cipro, al Festival Internacional de Poesia Benidorm y Costa Blanca e scelto tra i poeti italiani per il Bombardeo de Poemas sobre Milan opera del collettivo cileno Casagrande.
Una monografia critica è apparsa nell’Antologia “A Sud del Sud dei Santi – Cento anni di Storia Letteraria”, ne “L’evoluzione delle forme poetiche – la migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio”; inoltre, è tra i sette poeti contemporanei scelti per il film documentario “Il futuro in una poesia” della regista Donatella Baglivo, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia; è, infine, membro e delegato per l’Italia del Liceo Poetico de Benidorm e dei “Poeti per la Cultura di Pace”. La sua ultima creazione si intitola "Viaggio salvatico" (Fallone editore).
Molto evidente è l’attrazione dell’autore per l’interiorità e l’aspetto più metafisico, impalpabile, dell’essere umano, descritto sia nel suo più vivo e istintivo approccio all’arte, sia attraverso le più recenti spiegazioni scientifiche.
Di seguito l’intervista rilasciatami.
Nella tua ultima presentazione hai conquistato l'attenzione del pubblico suonando il clarinetto. A cosa è dovuta la scelta di iniziare la serata con la musica?
In mimesi con il “Viaggio salvatico” che parte da un Preludio e da un “Coro” greco, ho voluto cominciare dal linguaggio universale della musica o meglio da quel suono ancestrale che si farà parola vivente e ritmo in levare che è la poesia, un suono che va oltre le pagine bianche, oltre i confini geografici, fisici, politici; una forza primordiale e metamorfica che trasporta come l’Amore. Il libro è anche il tentativo di tradurre una ‘potenza musicale epica’ in poesia, l’inverso della sinfonia fantastica di Berlioz. Giuseppe Conte nell’introduzione del libro parla di “palcoscenico cosmico” in cui risuonano gli antichi miti, Anita Piscazzi ha citato a tal proposito un’opera a cui sono effettivamente legato: il viaggio della “epopea di Gilgamesh”, il primo poema scritto della storia dell’umanità.
Tu sei psichiatra e maestro di musica, come riesci a conciliare questi due aspetti nella vita?
Si, sono anche psichiatra e maestro di musica. In realtà questi aspetti sono già anticamente interconnessi tra di loro, i primi psichiatri secondo il mito greco sono già tra gli Argonauti: Asclepio, Melampo, Aristeo furono edotti come Ercole all’arte medica dal centauro Chirone e utilizzavano anche la musica e la poesia oltre alle prime erbe medicali per curare le turbe psichiche. Arte e scienza, in fondo, sono entrambe impegnate ad intuire e a conoscere l’essenza del mondo e le sue leggi. La parola che risuona nella comprensione dell’altro è parola che cura, parte integrante della relazione terapeutica, anche Hillman concepiva la mente umana come una mappa poetica che si esprime con un linguaggio poetico. Sia le neuroscienze sia la fisica quantistica che la fisica teorica con la Teoria delle Stringhe stanno approfondendo con nuovi metodi di indagine il mistero che abita questi saperi. Esisterebbero delle particelle infinitesimali le quali abitano il vuoto subatomico e sarebbero simili a delle ‘corde’; ma Platone non parlava forse della Musica delle Sfere, riprese da Boezio? Dunque l’uomo può risuonare con l’altro uomo, con gli elementi terrestri e con lo stesso universo all’unisono? Nel mio libro, ad esempio, tutte le sezioni sono anche pensate in musica e in età dell’uomo, la nascita è descritta come uno scherzo per uomo e orchestra, dove la madre rappresenta la Prima Orchestra, la terra sarebbe Seconda Orchestra e la Grande Orchestra quello che è oltre.
Hai un particolare interesse per lo spirito, o la spiritualità. Da cosa nasce?
Mentre studiavo Medicina, approfondendo le migliaia di pagine riguardanti in particolare la fisica medica, la chimica, l’istologia, l’anatomia umana e la fisiologia non ho potuto non intuire che ci fosse qualcosa che trascendeva la materia, più entravo nel microcosmo più esso assumeva le sembianze del macrocosmo; le stesse dinamiche caotiche in medicina si combinavano con la geometria frattale verso una teoria del tutto, mi accorgevo sempre di più che il corpo umano era molto di più della somma delle sue singole parti. La mente umana come affermava il neurologo Walter riferendosi al senso latino, era un “impossibile mostro”, qualcosa di estremamente meraviglioso dalle infinite potenzialità. Dunque, ho ripensato al concetto comune di “materia”, “realtà”, “anima” e “Dio”. La poesia e la psichiatria mi permettono una ricerca totale, scevra da pregiudizi culturali, ricerco anche l’ignoto nella psichiatria e nella poesia, ma posso effettuare questo viaggio in quanto ho ben salda una formazione scientifica su quello che è noto e conosciuto. Inoltre non posso che esser d’accordo con Andrej Tarkovskij, quando nel docufilm “un poeta nel cinema” di Donatella Baglivo, afferma che c’è un enorme dislivello – proprio in ambito evolutivo – fra la parte scientifico-tecnologica e quella spirituale, ridotta in uno stato primitivo. Da questo divario, secondo me, hanno origine molti dei mali del mondo.
Cosa ha ispirato le tue liriche?
Questo libro è frutto di un viaggio personale nell’esistenza presente di circa quattordici anni. Mi hanno ispirato le divine adolescenze e le eterne giovinezze, gli assoluti amori, le morti, il passato remoto, il trapassato e il futuro presente e anteriore, tutto quello che ho visto e che ho attraversato, tutto quello che ho dimenticato.
Una delle tue liriche descrive la lettera di un padre a un figlio. Parlaci di questa poesia.
È il testo di un padre, di un padre metaforico, ma anche di un poeta ad altri poeti, il quale, quasi alla fine di questo viaggio, scompare scrivendo il “Testamento dell’invisibile”. Scompare anche in quanto l’opera d’arte può essere tale solo quanto più si allontana dal dato biografico dell’io, divenendo junghiano “inconscio collettivo”, simbolo misterioso che tutti possono riconoscere e percepire con gli occhi formidabili di un bambino.
Perché scrivi?
Per essere libero, per continuare a esserlo nonostante, e per cercare di liberare chi ha già iniziato il proprio esistenziale viaggio nell’inferno della contemporaneità.
TESTAMENTO DELL’INVISIBILE
perché sei la casa dell’essere
la domanda abitata da tutte le risposte
Figliolo, ora che la clessidra terrestre è stata
capovolta, ora che il tempo divora gli ultimi
grani di voce residui, sebbene non sia stato
un padre esemplare, sebbene non abbia avuto
che un paio di versi come eletti discendenti
prima di ritornare a casa nella mia vera casa
voglio dirti la verità anche se è solo una verità:
ricorda che la realtà è un ponte e una luna
ha una faccia visibile al cuore e l’altra invisibile
agli occhi, ricorda che l’anima e l’inconscio
sono gemelli siamesi, hanno un solo volto
di bimbo millenario che sorride, rammento
ma il primo sorriso distingue il bene dal male,
il secondo si nutre di emozioni e non distingue
alcun male; ricordati che Dio ha molti nomi
come l’io, che l’arte e la scienza sono figlie
della poesia, e non credere a chi crede
che la poesia solo letteratura sia, ricordati
di essere folle, perché solo chi è folle, folle
di sogni, folle d’amore, folle di vita,
non diventerà mai pazzo come il mondo.
Figliolo, quando il sole scomparirà nelle ossa
accendi una candela per me e combatti:
quando la pupilla fisserà pietrificata
il Tibet della fiamma, nel silenzio fulvo
di un minuto, ti unirai gradatamente
all’assemblea delle albe, fino a svegliarti
in un lago nudo che evaporerà
in un grido di giorni in preghiera
e in quel viaggio d’ombra, nervo
e luce, non avrai sete perché sarò lì
ad espirare in te questo tepore
per ispirarti parole mai pronunciate,
sulla nuca dei tempi ti solleverò nutrendoti
con foreste di raggi, foglie di neve,
lì aspetterò galoppando l’inquieto seme
del fuoco, nel timido sibilo esplosivo
tra l’aria e il fulmine, perché lì solo
ho vissuto, ai confini dei venti taglienti,
non ho mai camminato sulla cera molle
non mi sono mai addormentato al centro
di un sorriso, ma sempre tra le onde acute
dei margini, specchiandomi nel buio
di un pennello colorato, impastando
le linee in sillabe minute sulla tela
della parola spirito in via della libertà,
benché il male bussasse ogni notte forte
alla mia porta con sembianze amiche,
nessuno mai ha varcato la soglia di casa,
e mai la lava mi ha mutato in pietra
e mai mi sono sentito a casa.
Gianpaolo G. Mastropasqua
Poesia tratta della sezione “Allegro variabile” del VIAGGIO SALVATICO (Ed. Fallone,2018)
Pubblicato su http://lobiettivonline.it/
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