“Qualcosa da dire sull’amore e non solo”: storie di donne che si ribellano



 di Lorena Liberatore


 "Qualcosa da dire sull’amore e non solo”, Florestano Edizioni, è l'ultimo lavoro editoriale di Enza Piccolo. Laureata in Lettere e in Psicologia, dopo l’insegnamento si è dedicata alla scrittura pubblicando testi teatrali, racconti e romanzi. Ha ripercorso la vita di molte donne del

Novecento, tra i suoi lavori: ha pubblicato con Manni Lecce “Dopo il buio” nel 2003 (che comprende tre racconti tra cui “Il trasloco” interpretato a Barletta da Pamela Villoresi), con Bonanno Acireale-Roma “Il viaggio di Chiara” nel 2004, con il Raggio Verde “Bloomsbury” nel 2006, “Le nuvole non sempre le puoi guardare” nel 2007, “Con Lydia” nel 2009, “Eleonora Fonseca Pimentel – Martire per la Libertà” nel 2009 (da cui è stato tratto lo spettacolo teatrale “Lenòr”), “4 Donne e la Storia” nel 2011 (da cui è stato tratto lo spettacolo teatrale “I volti dell’amore” rappresentato a Roma al Festival della Creatività), e “Sconfinamenti” nel 2016. Con l’Editrice Rotas Barletta ha pubblicato: “Cassandra” nel 1994, “Sibille contro la guerra” nel 2005, “Donne del Novecento” nel 2013, “La partenza” nel 2014, presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino, e “L’ombra del passato” nel 2017. 
 Marcata nei suoi lavori è la critica del presente e la tensione verso il superamento di quelle pratiche di assoggettamento – frutto di spinte forse innate nell’essere umano – che favoriscono una servitù volontaria a chi detiene il potere. Argomenti che hanno caratterizzato la serata offrendo validi spunti di riflessione, e propositi d’azione che sostituiscano un comportamento più ‘civile’ a un comportamento generalizzato e a suo modo ancestrale, il quale mostra il prevalere della violenza – o della spinta al predominio – su tutte le qualità umane; tale percorso evolutivo dovrebbe essere segnato da quella volontà tipicamente femminile che spinge le donne ad opporsi a ciò che è ‘morte’, intesa come negazione di vita. 
 Una donna, infatti, è colei che la vita la dona e per sua stessa natura non può accettare guerre, violenze o soprusi. Bisogna quindi ispirarsi alla sensibilità dell’universo femminile per frenare quelle spinte più ancestrali, di una civiltà che ora più che mai ha bisogno di un cambiamento positivo. Da qui la necessità di un gesto di rivolta, “di liberazione” come dice la stessa autrice, per dare un senso alla propria esistenza. 
 In “Qualcosa da dire sull’amore e non solo” lo sguardo è rivolto all’attualità ma in un percorso che affonda le radici nel passato: si susseguono, infatti, le vite di importanti donne che hanno segnato la storia in più campi, narrando in prima persona la propria vita, i sogni, i desideri, le difficoltà, e i soprusi combattuti con la tenacia di guerriere e la sensibilità di anime rivoluzionarie. 



  Di seguito l’intervista rilasciatami. 


 Cosa l’ha spinta a scrivere questo testo intitolato “Qualcosa da dire sull’amore e non solo”? 
 Lo sconcerto dinanzi a una società corrotta in cui il mercato governa le nostre esistenze precarie, instabili, fragili. Non appartengo alla schiera dei cantori della globalizzazione, perciò ho inserito nel libro la testimonianza di Zenobia, regina di Palmira, recentemente distrutta dalle truppe dell’Isis e dai bombardamenti delle grandi potenze mondiali. Le vicende raccontate avvennero nel III secolo d.C.: i romani effettuarono la prima ‘globalizzazione’ espandendo in tutto il mondo i propri possedimenti territoriali. Il bisogno di supremazia, di egemonia, di dominio e di conquista spinge anche adesso i potenti alla guerra che arreca distruzione e morte. Per sanare la nostra civiltà occorre una accurata riflessione sul concetto di potere, il perno delle umane relazioni. Nel libro do voce a molte donne che attraverso lettere da me inventate si raccontano e ci raccontano di sé. Sono donne che si ribellano a varie forme di repressione e ci invitano ad affrancarci da ogni forma di potere che divide gli esseri umani in vincitori e soccombenti. Erede del grande Impero Romano fu la Chiesa, e in suo nome faccio parlare Elisabetta di Turingia che aspira ad un risveglio spirituale come fa oggi papa Francesco che denuncia l’Alzheimer spirituale di cui soffre l’attuale società. Santa Elisabetta si rivolge a Federico II per evitare una guerra combattuta col segno della croce in Oriente. Lei è portatrice di valori quali la misericordia e la compassione, mentre lui ama la conquista, il successo e il potere, massacrando i suoi nemici.  

 Una visione in qualche modo negativa dell’uomo. 
 Negativo è il mito della guerra, legato alla violenza di cui spesso si serve l’uomo quando incarna il ruolo di padre-padrone o di stupratore, come si evince dal racconto di Artemisia Gentileschi. 

 Da Artemisia ad oggi, cos’è cambiato per una donna che subisce violenza? 
 Artemisia nel 1612 denunciò il Tassi, un amico di famiglia, un collaboratore di suo padre. Malgrado il processo il Tasse non finì in galera. Molto spesso oggi le donne non denunciano, anche se continuano ad essere sfregiate e maltrattate. Quest’anno ci sono stati 106 femminicidi, si capisce che c’è ancora tanta strada da fare per cambiare una cultura maschile pregna da violenza, perché quanto più la donna mostra la volontà di affrancarsi per raggiungere l’autonomia, tanto più esiste la minaccia di morte per mano di assassini. 

 In quale delle donne del suo libro, “Qualcosa da dire sull’amore e non solo”, si è più identificata? 
 Si sa, quando si scrivono delle biografie si inseriscono sempre cose che appartengono alla propria vita, anche io ho fatto lotte per pensare e vivere da donna, con una coscienza differente da quella maschile, quindi mi sono facilmente identificata nei vari personaggi, ma tra quelli più recenti mi sono sentita vicina a Daphne, la giornalista maltese che ha denunciato e sfidato il cuore corrotto dell’Europa per l’amore della verità. In quella lettera faccio riferimento a un testo di Mandeville del ‘700: l’alveare delle api che rinunciano alle virtù per mantenere in vita il sistema. I vizi come la vanità, l’ingordigia, l’avidità, producono pubbliche virtù! Tutti ammiriamo chi ha successo e denaro con cui si può comperare tutto. A rinunciare al potere spesso sono le donne che tendono alla cura delle relazioni. In quest’ottica bisogna considerare la donna come un valore perché dà la vita e desidera esprimere la sua creatività. L’ultima lettera ha come protagonista Malala, la ragazza pakistana che ottenne il Premio Nobel per la pace; persone come lei sono importanti per il coraggio che tutti dovremmo avere, tutti dovremmo combattere per costruire una coscienza collettiva, utile per liberarci da millenari condizionamenti e costruire un mondo a nostra misura, distanti dai modelli maschili che hanno combinato parecchi guasti, come la distruzione dell’ambiente. Spero che il libro sia letto dalle nuove generazioni affinché conoscano il passato e imparino a controllare le loro pulsioni distruttive sostituendo alla forza e al dominio l’amore autentico per l’intera umanità.


Comments