Un oggetto distraente in un quadro




La presenza di un disabile è come un elemento distraente in un quadro, perché è fuori dal "normale" ovvero da ciò che la società e gli schemi mentali considerano normale. In particolare, la nascita di un bambino malato altera in una famiglia gli equilibri, squassa la vita giornaliera, e dal quel momento nulla è più come prima. 

La famiglia è come una bilancia, se un lato pende troppo non c’è più equilibrio e la mancanza di questo è come la perdita di terreno sotto i piedi. 
Per questa ragione, per quanto una famiglia possa essere ben gestita, una minima crepa può distruggere l'equilibrio, e il disabile in alcuni casi (certo involontariamente!) può trasformarsi in una sorta di Lulu di Frank Wedekind, ovvero può diventare una specie di principio distruttore, in un congegno che non può gestire perché fuori dalle sue possibilità d’azione.

Ampliando il raggio d’analisi la situazione non è più semplice, perché nel mondo il disabile è l’osceno, o ciò che è fuori dalla scena: in media, se la persona con disabilità non riesce ad integrarsi nella società, per gravità della patologia/menomazione o per evidente mancanza di una qualche forma d’autonomia, nessuno fa/può niente di concreto e la società stessa si giustifica con un semplice perbenismo egoistico, secondo cui ognuno ha da pensare ai propri problemi - parlo di quel noto disinteresse frutto dell'autoconservazione. È proprio per queste ragioni che esistono forme assistenziali e di sostegno disponibili in ogni contesto, dalla scuola alla vita quotidiana, peccato che talvolta non siano all'altezza delle esigenze, o che, in altri casi, siano ostacolate dalle famiglie stesse.  

Spiego meglio cosa intendo per osceno: O-Skené, significa fuori scena o fuori dalla skené, la quale nel teatro antico era una struttura rettangolare che sporgeva di circa tre metri verso l’orchestra ed era strutturalmente legata ad un muro di sostegno. All’inizio la skené era solo una tenda che serviva da spogliatoio per gli attori e da deposito per gli oggetti di scena, poi venne integrata nel gioco drammatico e in essa s’identificò la facciata del palazzo o del tempio o della grotta dinanzi a cui si svolgeva la tragedia, divenendo una prima forma di sfondo scenico spesso simile ad un portico o un colonnato. Teoricamente, il concetto di osceno si consolida con Carmelo Bene, il quale lo definì come la condizione «Dove non c’è soggetto e non c’è l’oggetto. Sono la stessa cosa, insomma. Questo per me è il porno: l’osceno. O-Skené: fuori di scena». La coincidenza di soggetto e oggetto è l’annullamento, un auto-annullamento dell’essere. 

Ogni individuo è soggettività, ma se l’individuo non è in grado di determinare il suo esistere nello spazio, nel tempo, e quindi nel mondo, diventa l’oggetto di sé, vedendo azzerarsi la possibilità di agire come essere univoco, concreto e compatto in grado di determinare gli eventi, di conseguenza è elemento fuori scena. Fuori dall’occhio di uno spettatore che ne ignora l’essenza.

A parte queste poco utili definizioni - disquisizioni simili fanno riflettere ma sono pur sempre inutili davanti problematiche di questo genere -, penso che oggi si parli tanto di disabilità ma troppo spesso senza fare nulla di concreto. Attualmente le conseguenze della pandemia hanno azzerato i tanti sforzi di miglioramento di chi la disabilità la vive ogni giorno, minacciando gravemente le possibilità d'autonomia. E non è finita, molte persone si sono ritrovate più sole, in una società più egoista (dovevamo uscirne migliori??) e centrata su di sé. È al cospetto di tutto questo che tante belle parole sull'argomento sono del tutto inutili. Varrebbe di più un gesto: bisognerebbe darsi una mano a vicenda per ricostruire o rimettere in piedi ciò che è stato distrutto. Facile? Assolutamente no, per nessuno.

Ne siamo ancora capaci? Lo scopriremo col tempo. Naturalmente, qualcuno può anche preferire l'egoismo, qualcuno ha tutto il diritto di pensare "Che mi importa? Io penso a me stesso". C'è solo un piccolo aspetto che puntualmente viene trascurato: nessuno esce indenne dalla vita, e disabili, fragili, prima o poi lo si diventa tutti. ...E ancora un altro: nolenti o volenti facciamo parte di una rete, siamo uniti all'altro per la sopravvivenza. In questo l'individualismo è solo autodistruzione.

È passato molto tempo da quando le tutte persone con disabilità venivano estromesse dalla società, isolate, ignorate come qualcosa da non riconoscere, qualcosa che non meritava identità. Tanti oggi sono i traguardi raggiunti ma ci sono ancora tante battaglie da fare, e tante altre da ricominciare. Perché la storia insegna che alcuni passi avanti vengono periodicamente azzerati, e bisogna reintraprendere il cammino. In questo temo non ci sia mai fine.
 

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