Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome. 4° puntata [di Lorena Liberatore]




Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome, è per buona parte un romanzo dai tempi lenti, mentali, riflessivi, ed è povero di eventi. Diventa realmente avvincente nella seconda metà, raggiungendo il suo apogeo nell’ultima parte; ci sono diversi punti morti dove il tempo della narrazione rallenta all’inverosimile, ci sono spesso lunghi monologhi e il racconto oscilla continuamente tra due ricordi (quello di Tempestad e dell’epifania di Chiara), dilatando a volte eccessivamente gli eventi. Ma questi difetti saltano all’occhio solo nella prima parte e sono comunque studiati per aumentare l’interesse nel lettore e convincerlo che c’è un disegno più grande, mistico o magico che regola le vite a confine tra fantasia e realtà, e all’uomo non è dato comprenderlo completamente.
È un romanzo particolare dove lo scrittore gioca con la realtà e la fantasia per creare artificialmente una dimensione psichica (e questa è una cosa che nei romanzi trovo molto attraente!). Il finale è in sospeso come la conclusione di una sinfonia; non è per niente scontato, lo scrittore sembra quasi prendersi gioco del lettore non dandogli una conclusione netta ma una possibilità di riflessione, indicando diverse strade percorribili dal protagonista o dal lettore stesso, che un po’ come Luis vorrebbe trovare un senso negli eventi e scindere razionale e irrazionale, reale e irreale.

Forse ricominciare vuol dire non lasciarsi guidare dai temporali dell’anima. Forse amare è imparare a camminare per questo mondo.

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