La contessina Mizzi. 2° puntata



Nella storia di Mizzi si intersecano altre vicende come quella del padre che per diciotto anni ha nascosto la relazione con la ballerina Lolo e il matrimonio di quest’ultima col cocchiere, insomma compare un mondo di vicende, un microcosmo pieno di singole storie piegate più o meno alla norma sociale.
Il finale, la vacanza ad Ostenda, con il previsto incontro di tutti i protagonisti e, forse, con
un ripensamento di Mizzi, non rientra nel possibile lieto fine e serve solo a far riflettere lo spettatore sull’astuto gioco dei rapporti interpersonali nell’alta società, dove per seguire i propri affetti bisogna scendere a patti con la vita. La partenza di Mizzi per Ostenda pare così una tacita accettazione dell’ennesima proposta di matrimonio del principe, al fine di dare due genitori apparentemente adottivi a Philipp ma che nella realtà sono genitori biologici di un figlio nato per sbaglio o nel periodo sbagliato; e questa possibile conclusione mi pare adattissima a un autore come Schnitzler che disse “Il matrimonio è la scuola della solitudine” e che fu uno dei più grandi analisti e dissacratori dell’istituto familiare come sede di ipocrisie, incomprensioni e condizionamenti (Schnitzler insieme al suo contemporaneo Strindberg distruggono l’ipocrisia della comune visione dell’istituto matrimoniale e a loro si rifarà più volte il grande Ingmar Bergman in film come Scene da un matrimonio).
Una frase di Schnitzler mi pare adatta al possibile finale dell’opera, 
in cui pare che Mizzi accetti il matrimonio per puro istinto materno: “Ciò che logora le nostre anime nel modo più rapido e peggiore possibile è: perdonare senza dimenticare”.

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