LA SETE DI PERFEZIONE


Questo testo, che ho scritto nel 2009, apparentemente non ha nulla a che fare con quello che sta succedendo negli ultimi giorni, ma il culto della bellezza nella sua forma più estrema è l'apparenza, è una faccia dell'individualismo. E proprio l'individualismo è quello che sta dilaniando l'Italia, e tutto il mondo. Siamo diventati una società dedita ad apparenza ed egoismo, dove la filosofia del 'penso prima di tutto (o soltanto) a me' ha provocato enormi danni. Chi non appartiene a questo comportamento attualmente credo sia una minoranza.




La bellezza è un pregio del nostro pianeta, esiste infatti la bellezza del paesaggio, quella delle forme, quella di un essere umano; ma la bellezza ha anche tanti significati, tanti aspetti, tanti modi di essere apprezzata e tanti modi di essere vista; è anche fatta d’imperfezioni e quest’ultime talvolta valorizzano rendendo qualcosa unico. 
Ma oggi al primo posto c'è la bellezza esteriore, prima preoccupazione su tutte, si rincorre la perfezione ideale e si imitano a tutti i costi modelli estetici imposti; da anni è aperta una danza delle velleità in cui tutti vogliono cambiare perché non si piacciono. Un bel corpo, un bell’aspetto è solo un bel dono che la natura casualmente ci dà ma che non ha quasi mai a che fare con la nostra essenza, la nostra interiorità…. La nostra anima. 
La corsa alla perfezione che oggi sta ‘clonando’ tanti automi ha a che fare con un problema che sta a monte. L’uomo (inteso come essere umano) non è mai stato in grado di vedere, senza ostacoli, oltre l’esteriorità (fin dai tempi antichi l’arte figurativa ha rappresentato l’interiorità e i valori individuali attraverso l’esteriorità), per percepire l’impalpabile ha bisogno di ‘toccare’ o vedere, ma soprattutto l’uomo oggi nonostante il progresso sociale non solo non accetta ciò che è diverso da sé o non coincide col proprio gusto (ovvero quello imposto dai modelli), ma evitandolo vorrebbe inconsciamente cancellarlo. 
Stesso comportamento con ciò che fa paura. E cerca di sconfiggere una debolezza interiore attraverso l’apparire perché, se non ha continue conferme e non è accettato e apprezzato da tutti, si sente escluso.
Il rifiuto dell'opposto 'cattivo' non è radicato, oramai, solo nell’ambito estetico ma si è esteso su ogni aspetto di vita. Si percepisce la realtà per esclusione, ovvero creando un insieme in cui inscrivere le cose ‘giuste’, ‘perfette’, piacevoli al nostro vedere e concepire, escludendo i loro opposti. 
È una società malata quella che si accanisce a esorcizzare così ‘l’imperfetto’. Siamo allora sicuri che proprio il diverso, l’escluso della situazione non sia l’elemento più sano di questa nostra catena esistenziale? 

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