Da "La Storia dell'Amore"




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Durante l’Era del Vetro, tutti - uomini e donne – credevano che una parte di loro fosse estremamente fragile. Per alcuni era una mano, per altri il femore e altri ancora credevano di avere il naso di vetro. L’Era del Vetro seguiva l’Era della Pietra come correttivo evolutivo e introduceva nelle relazioni umane un nuovo senso di fragilità che favoriva la compassione. Questo periodo durò un tempo relativamente breve nella storia dell’amore – circa un secolo – finché un medico di nome Ignacio da Silva introdusse una cura che consisteva nello stendere il paziente sul lettino e nello stringere in un forte abbraccio la parte in questione, dimostrando così la verità. L’illusione anatomica che era parsa tanto reale lentamente scomparve ma – come molte cose a cui non riusciamo a rinunciare pur non avendone più bisogno – non del tutto. E di quando in quando, per ragioni ignote, riemerge, insinuando il sospetto che l’Era del Vetro, così come l’Era del Silenzio, non sia mai del tutto finita.

Prendiamo per esempio il tizio che cammina per la strada. Neanche ci faresti caso, è il classico tipo che nessuno nota; il suo abbigliamento e il contegno sono assolutamente anonimi. Di solito – lo confermerebbe lui stesso – passa inosservato. Non ha niente con sé. O perlomeno sembra che non abbia niente; né un ombrello, nonostante minacci di piovere, né una valigetta, benché sia l’ora di punta; e intorno a lui, china per difendersi dal vento, la gente si avvia a casa, diretta verso dimore accoglienti in periferia, dove i bambini stanno facendo i compiti al tavolo della cucina, il profumo della cena si diffonde nell’aria e forse c’è anche un cane da qualche parte, perché c’è sempre un cane in certe case.

Una sera, quando quest’uomo era ancora giovane, decise di andare a una festa. Qui incontrò una ragazza che era stata sua compagna di scuola sin dalle elementari, una ragazza della quale era sempre stato un po’ innamorato anche se era certo che lei non si accorgeva nemmeno della sua esistenza. Aveva il nome più bello che avesse mai sentito: Alma. Quando lo vide accanto alla porta, lei si illuminò in viso e si avviò nella sua direzione per parlargli. Lui rimase incredulo.

Trascorsero un paio d’ore. Doveva essere stata una bellissima conversazione, perché alla fine Alma gli disse di chiudere gli occhi. Poi lo baciò. Il suo bacio era una domanda a cui lui avrebbe voluto rispondere per il resto della sua vita. Si sentì tremare. Temette di essere sul punto di crollare. Per chiunque altro sarebbe stata una cosa normale, ma per lui non era così semplice, perché quest’uomo credeva – e lo aveva creduto da sempre – che una parte di lui fosse di vetro. Aveva paura di fare un movimento sbagliato, di cadere e di frantumarsi davanti a lei. A malincuore si ritrasse. Abbassò gli occhi e sorrise, sperando che lei capisse. Parlarono per ore.

Quella sera tornò a casa pieno di gioia. Non poté dormire tanto era emozionato al pensiero della sera dopo, quando lui e Alma si sarebbero visti per andare al cinema. Andò a prenderla e le regalò un mazzo di giunchiglie gialle. Al cinema combatté – e vinse! – contro il pericolo di stare seduto. Guardò tutto il film chino in avanti, in modo che il suo peso poggiasse sulla parte superiore delle gambe e non sulla parte di lui che era fatta di vetro. Se Alma lo notò, non lo diede a vedere. Lui spostò appena il ginocchio, e poi ancora un po’, finché lo appoggiò alla gamba di lei. Stava sudando. Quando il film terminò non avrebbe saputo dire di che cosa parlasse. Le propose di fare una passeggiata nel parco. Questa volta fu lui a fermarsi, prese Alma fra le braccia e la baciò. Quando iniziarono a tremargli le ginocchia e temette di finire disteso a terra fra mille schegge di vetro, dovette resistere all’impulso di allontanarsi. Le fece scivolare le dita lungo la schiena sfiorandole la camicetta leggera, e per un istante dimenticò il pericolo, grato al mondo che crea le divisioni proprio perché possiamo superarle, assaporando la gioia di avvicinarsi all’altro, anche se, nel profondo non possiamo mai dimenticare le insormontabili differenze che tristemente ci separano. Solo allora si rese conto che stava tremando. Irrigidì i muscoli cercando di fermare il tremito. Alma avvertì la sua esitazione. Si tirò indietro e lo guardò con un’espressione quasi ferita, e allora lui fu sul punto di dire le frasi che voleva dire da anni: Una parte di me è fatta di vetro, e anche: Ti amo.

Vide Alma un’ultima volta. Ma non poteva immaginare che sarebbe stata l’ultima.

Pensava che sarebbe stato solo l’inizio. Passò il pomeriggio a fare una collana di uccelli di carta legati insieme con lo spago. Prima di uscire di casa afferrò d’impulso un cuscino a punto croce posato sul divano di sua madre e se lo infilo dietro nei pantaloni come misura preventiva. E subito si domandò perché non ci avesse pensato prima.

Quella sera diede ad Alma la collana e gliela legò al collo: fin lì aveva avvertito solo un lieve tremore, niente di terribile; ma quando lei, baciandolo gli passò le dita lungo la schiena e, dopo una breve esitazione, fece scivolare la mano sul dietro dei pantaloni per ritrarsi subito con un’espressione a metà fra il riso e l’orrore che a lui rammentò un certo dolore che aveva sempre conosciuto, venne fuori la verità. Lui almeno cercò di dirle la verità, ma il risultato fu una mezza verità. Tempo dopo, molto tempo dopo, capì che due cose non poteva perdonarsi: il graffio che la collana aveva procurato ad Alma quando lei si era tirata indietro – l’aveva visto alla luce del lampione – e aver scelto la frase sbagliata nel momento più importante della sua vita".


Da "La Storia dell'Amore"
Nicole Krauss

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