Tra simbolismo e surrealismo: i dipinti di Piero Fabris





Su isole metafisiche, in mondi magici e onirici che svelano la forte spiritualità dell’autore, su spiagge univocamente terrene e surreali lo sguardo si immerge tra sinuosi movimenti di colore, linee e simbologie, il tutto in atmosfere luminosissime, accese dalla prevalenza di blu, viola, azzurro e verde.
Sono i quadri di Piero Fabris, artista poliedrico di origine belga (nato a Baudor nel 1965), studioso di culture, miti e leggende, nonché poeta e autore anche di racconti, testi teatrali e romanzi. E tutto il suo interesse per le fiabe, le leggende e i miti emerge dalle superfici delle sue opere sotto forma di simboli, colore, intensa vitalità e musicalità.
Tonalità calde e fredde (quest’ultime prevalenza nelle opere giovanili) spesso si mescolano in esplosioni di energia, dove la sinuosità delle linee unita alla luminosità svela un’intrinseca musicalità: in spartiti e pentagrammi, sonorità arcane e note di colore.
In La processione degli scudi (acrilico su tela – cm 120 x 80) il pentagramma dello spartito compare lungo una colonna, ad avvolgerla in tutto il suo corpo («in una colonna è la cifra delle costruzioni armoniche» scrive il Fabris nel racconto fiabesco Un seme di sole che divenne fiore di pietra, edito da Palomar) e risaltata da un cielo acceso di colori caldi.
Quello che può colpire dei dipinti di Piero Fabris è la totale assenza di atmosfere oscure o lugubri. Permane, invece, una sorta di piacevole malinconia, di spleen tutt’altro che negativo o distruttivo, e arcano mistero, un leitmotiv il cui tema base è una comunione armonica con l’universo oltre che con la Madre Terra. L’autore è così un osservatore visionario, lungimirante, estasiato ed emozionato dalla realtà che lo circonda: una dimensione piena di energia e vitalità. Si tratta di atmosfere surreali e magiche ispirate soprattutto al mondo delle fiabe, unite alle suggestioni dell’inconscio e del sogno: in una seducente visione d’un mondo onirico.
In virtù di ciò, surrealismo e simbolismo si fondono in un perfetto connubio dove vi compare anche la rappresentazione dei beni culturali architettonici e paesaggistici più importanti della nostra Puglia (basti pensare a Castel del Monte, presente in svariate opere come Anello di Puglia - acrilico su tela - cm 150 x 90, o Evoluzione dei Menhir - acrilico su tavola - cm 90 x 90), insieme alle componenti più emotive, mitiche e fiabesche presenti in Moreau e Redon. Il tutto talvolta sembra ammiccare all’onirico rinascimentale di Bosch unito a una plastica luminosità surrealista.
A metà tra surrealismo e simbolismo è anche Porta celeste (acrilico su tela – cm 50 x 60): un percorso di gradini in pietra conduce a una porta a doppi battenti sormontata da un frontone semicircolare, lateralmente due colonne; tra il punto d’osservazione dello spettatore e i gradini una distesa d’acqua (un lago o forse un fiume); lateralmente, a sinistra si accenna un colonnato, e a destra forme in pietra e figure squadrate cristalliformi strutturano un secondo percorso, più arduo, da scalare: conducono a una piramide, la figura geometrica simbolo di perfezione e di ascensione verso il divino, verso Dio rappresentato da una sorta di supremo occhio della provvidenza. Al di sopra di tutto ciò altri colonnati e infine (come una cornice che racchiude quasi tre lati del dipinto) un cigno, simbolo caro al Fabris e presente in svariati suoi testi, come nel racconto Un seme di sole che divenne fiore di pietra
Il cigno è infatti simbolo di purezza, dell’anima in trasformazione verso stati spirituali e conoscitivi superiori e di forza celeste congiunta ad Apollo (il canto, la poesia) ovverossia l’armonia tra le forze cosmiche. E infatti la dama bianca di Un seme di sole (racconto) è chiamata appunto Valka, diminutivo di valchiria (colei che sceglie), divinità femminile che assume sembianze di cigno e figura legata alla runa Elxaz (il simbolo di vita raffigurante graficamente l’uomo con le braccia alzate verso il cielo).
Nelle opere più recenti il Fabris è giunto a un uso più preponderante dei toni caldi, in particolare del rosso, maturando una luminosità da rubino carica d’energia vitale (basti pensare alle opere in acrilico su tavola o su tela). Anche in quest’ultimi, talvolta sembrano comparire citazioni o riferimenti a propri testi letterari. Così in Fiaba (acrilico su tavola - cm 20 x 35) la finestra in primo piano sembra riecheggiare quella del racconto Le serpi tra le spighe e i papaveri sul sentiero (in Inchiostrati sulla lama del rasoio, edito da FaLvision), attraverso cui un’anziana madre invalida guarda il mondo.
In La piramide sull’alba (acrilico su tela - cm 60 x 60 x 60) l’opera stessa e la sua cornice assumono la forma di un triangolo equilatero, in esso si racchiudono vie di fuga e scorci ricchi di altre figure geometriche, tra loro quasi incastonate, a confluire centralmente in una finestra dai battenti spalancati e dalla visuale a sua volta concentrica (a formare una sorta di tunnel). Triangoli, quadrati e rettangoli, nei loro annessi significati simbolici, si dispongono armonicamente nella loro complementarietà.
La sua produzione artistica è ricca ed eterogenea, degni di interesse sono anche i più semplici disegni a matita (colmi d’emozione e significato), e le opere più materiche rese tridimensionali dall’utilizzo di svariati materiali (segmenti di legno o cartone, sostanze plastiche, tele), e rese vive dai colori acrilici. Tipica quest’ultima tecnica della pittura figurativa, di quella astratta, come della pop art.
In una visione d’insieme, si può dire che quella di Piero Fabris è un’arte viva, complementare perché plasma e attraversa svariate forme d’espressione artistica, spaziando dalla scrittura poetica a quella teatrale e più ampiamente letteraria, dal dipinto alle più semplici nugae del disegno libero, dallo studio di fiabe, miti e leggende alla loro più personale rappresentazione. Un viaggiare liberamente nell’arte e in buona parte delle sue manifestazioni per descrivere e offrire quello che di più caro possiede l’essere umano: la propria interiorità.

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