Estratti da "IL PROCESSO" di Kafka




“…per la verità la difesa non è consentita dalla legge, ma solo tollerata, ed è controverso anche se sia possibile dedurre dai relativi articoli della legge almeno una certa tolleranza”.

“Arrivano d’altronde dei momenti cupi, come ce li hanno tutti, in cui si crede di non aver ottenuto neanche risultati minimi, in cui sembra che solo i processi destinati fin dall’inizio a una buona conclusione siano andati a finire bene, cosa che sarebbe accaduta anche senza ricorrere al nostro aiuto, mentre gli altri sono stati un fallimento malgrado tutto il nostro seguirli da vicino, tutta la fatica, tutti i piccoli successi apparenti, che ci provocavano tanta gioia. Allora niente sembra più sicuro, e di fronte a domande precise non si oserebbe nemmeno negare che proprio ricorrendo al nostro aiuto sono finiti sulla strada sbagliata processi che per loro natura stavano andando bene”.

“Il processo non era nient’altro che un grosso affare, come ne aveva già conclusi […] un affare all’interno del quale, com’è normale, erano in agguato molti pericoli, che appunto andavano respinti”.

“[…] Perciò nel processo deve avvenire qualcosa di pura facciata. È necessario dunque prendere di tanto in tanto una serie di provvedimenti, l’imputato deve essere interrogato, bisogna svolgere indagini e così via. Il processo deve continuare a ruotare nella piccola cerchia in cui è stato artificialmente circoscritto”.

“[…] per colui che è sospettato meglio è il movimento che la quiete, perché chi sta fermo può sempre trovarsi, senza saperlo, sopra il piatto di una bilancia ed essere pesato insieme ai suoi peccati”.

“[…] negli scritti introduttivi alla Legge è detto a proposito di un tale inganno: davanti alla Legge c’è un custode della porta. A questo custode si presenta un uomo venuto dalla campagna e prega di essere ammesso alla Legge. Ma il custode della porta dice che ora non può concedergli di entrare. L’uomo riflette e poi chiede se potrà entrare più tardi. ‘È possibile,’ dice il custode, ‘ma per ora no.’ Dato che la porta della Legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l’uomo si china per guardare all’interno attraverso la porta. Quando il custode se ne accorge ride, e dice: ‘Se ti attira tanto , cerca di entrare nonostante il mio divieto. Ma bada: io sono potente. E sono solo l’ultimo dei custodi. Ma sala dopo sala si trovano custodi uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io ’. L’uomo venuto dalla campagna non si aspettava simili difficoltà, la Legge dovrebbe essere accessibile a tutti e in ogni momento, pensa, ma adesso che guarda meglio il custode con suo cappotto di pelliccia, il suo grosso naso a punta, la lunga sottile barba nera alla tartara, decide che è meglio aspettare finché riceverà il permesso di entrare. Il custode gli da uno sgabello e lo fa sedere al lato della porta. Là rimane seduto giorni e anni. Fa molti tentativi per venire ammesso e stanca il custode con le sue preghiere. Spesso il il custode lo sottopone a piccoli interrogatori, gli chiede della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande senza partecipazione come le fanno i gran signori e alla fine dice sempre che non può farlo ancora entrare. L’uomo, che per il viaggio si è provveduto di molte cose, sperpera tutto, anche quanto ha di più prezioso, per corrompere il custode.

Costui accetta, è vero, ogni cosa, ma contemporaneamente dice: ‘Accetto solo perché tu non creda di aver trascurato alcunché ’. Durante tutti quegli anni l’uomo osserva il custode quasi ininterrottamente. Dimentica gli altri custodi e questo primo gli sembra l’ultimo ostacolo all’ingresso nella Legge. Maledice il caso avverso nei primi anni a voce alta, poi, quando diventa vecchio, brontola solo tra sé e sé. Rimbambisce e siccome studiando per anni il custode ha imparato anche a conoscere le pulci nel suo colletto di pelliccia, prega anche le pulci di aiutarlo a far cambiare idea al custode.
Infine la vista gli si indebolisce e non sa se intorno a lui si fa davvero buio o se sono solo gli occhi a ingannarlo. Ma ecco che riconosce nell’oscurità un bagliore, che erompe inestinguibile dalla porta della Legge. Ormai non gli resta molto da vivere. Prima della morte tutte le esperienze di quel periodo si raccolgono in una domanda che finora non ha ancora posto al custode. Gli fa cenno d’avvicinarsi, poiché non riesce più a sollevare il corpo che si sta irrigidendo. Il custode deve chinarsi molto su di lui, perché la differenza di statura si è molto modificata a sfavore dell’uomo. ‘Che altro vuoi sapere adesso ’, chiede il custode, ‘sei insaziabile.’ ‘Tutti tendono alla Legge,’ dice l’uomo, ‘com’è possibile che in tanti anni nessuno oltre a me abbia chiesto di entrare?’ Il custode si accorge che l’uomo è ormai alla fine e per raggiungere ancora il suo udito che si va indebolendo gli urla: ‘Qui non poteva avere accesso nessun altro, poiché quest’ingresso era destinato solo a te. Adesso vado a chiuderlo ’.”


Franz Kafka
da: Il Processo

traduzione di Anita Raja

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