Moderna società




Esiste un vuoto nelle istituzioni, nei partiti, nella politica, e anche nella vita quotidiana e familiare di ognuno di noi, un vuoto che scandisce l’esistenza individuale e collettiva: la verità è che la società è piena di disvalori condivisi e tollerati, quasi legalizzati. La corsa al danaro, l’accesso ai simboli di stato, ai gadget, ai consumi, la logica dei rapporti di potere, la spinta ad apparire, il tentativo patetico di diventare uniformi e tutti uguali o “conformi alla regola” come diceva Nietzsche, la propensione al consumo evidenziata dal Piacere di Spendere, l’Ostentazione e il Prestigio imperano nel nostro mondo, mentre sono poche o inesistenti le affermazioni legate ai valori d’altruismo/solidarietà. Ma questa condizione l’abbiamo nutrita noi e tollerata e sfruttata per anni. Noi siamo simili a chi “divinamente distratto e immerso in se stesso ha appena avuto le orecchie percosse dal suono della campana che con tutta la sua forza ha annunziato il mezzogiorno con dodici rintocchi, e si sveglia all’improvviso e si chiede – che suono è mai questo?-” (Genealogia della Morale).
L’uomo è un essere i cui bisogni primari sono intrinsecamente legati al respirare, al mangiare, al bere, all’attività sessuale e al procreare, ma per vivere sente anche il bisogno di descrivere la realtà nei suoi dinamismi e di inquadrare la propria vita mettendo in fila una serie di principi e leggi adempiendo i quali è persuaso che si crei l’ordine. Gli uomini non sono in grado di vivere senza regole tramite le quali si possa concepire la vita, il reale, l’esistente, ed ecco che si creano le leggi morali o un sistema che distingue giusto e sbagliato, bene e male, ecc. Così ogni essere umano ha un suo modo di esprimersi non soltanto naturale e spontaneo, ma anche in gran parte condizionato e prodotto dall’ambiente relazionale e schematizzato in cui si vive. 
Affermava Hume che in realtà seguiamo regole di moralità e di giustizia non sulla base di deduzioni astratte, ma secondo lo specifico sentimento della loro utilità collettiva, infatti, giusto è ciò che si è affermato collettivamente e convenzionalmente come tale in base alla considerazione che certi comportamenti facilitano il vivere in società mentre altri lo ostacolano. 
Oggi regole e leggi sociali (penso soprattutto al nostro ordinamento costituzionale) sono uno spettro, uno spaventapasseri, uno specchietto per allodole, un’immagine bidimensionale, un feticcio deriso dalle masse e manipolato da potenti, una marionetta per divertire sciocchi bambini, inutili perché il vero sistema di regole e leggi era quello che ogni uomo si forgiava individualmente a misura dei propri ideali e che ora non c’è più, così la perdita di valori sociali e morali viene identificata in un deficit socio-politico, certo anch’esso marcio, ma perché ormai marci sono gli stessi uomini e l’inutilità dei loro ideali-immagine. Nella nostra società non c’è giustizia attraverso la legge e persino le regole di reciproco rispetto tra gli individui sono ignorate e derise.
Negli anni ottanta è avvenuto un cambiamento valoriale determinato dall’avvento di una società debole: la personalità dominante si caratterizza per un narcisismo edonistico ed espressivo nel quale risaltano le virtù immateriali degli oggetti, il consumo è il nuovo mezzo per produrre identità personali e solidarietà in quanto inaugura delle distinzioni non più basate sugli status sociali ma sugli stili di vita, l’uomo moderno vive alla ricerca indiscriminata del look, è all’inseguimento di un’identità fittizia da reinventare continuamente, l’uomo postmoderno ha riscoperto il corpo come strumento di comunicazione e ha ritrovato il gusto per la vita nella look-generation, nell’attenzione superficiale per l’immagine e il visibile. 
Quest’uomo considera il mondo un dato manipolabile il cui fine è l’autorealizzazione personale, e domina tramite il mascheramento e lo sfruttamento degli altri. Ecco una società in cui sono gli stili di vita a contare sempre di più!  Ecco la società dell’uomo debole e artefatto, forse è un po' l'emblema della sconfitta di quell’oltre-uomo nietzschiano che doveva avere come fine l’affermazione di un suo più alto sviluppo. 

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