Disabilitiamo tutte le disabilità [di Lorena Liberatore]
La presenza di un disabile altera completamente un sistema di vita, altera l’equilibrio della famiglia e richiede per chiunque un grande spirito di adattamento. Quando una parte del proprio corpo o dei propri sensi viene meno si è fuori dal mondo e persi in mille difficoltà. Psicologicamente “l’arrivo” di un disabile in una famiglia provoca gravi crisi, si ha l’impressione che il mondo stia per crollare, che la vita sia finita, che non ci saranno più momenti sereni…..no! è solo una fase “d’assestamento”; nel momento in cui la disabilità diventa sinonimo di una propria quotidiana normalità allora tutto sembra cambiare, niente pare insormontabile, perché dopo un periodo di forte crisi e , perché no, di depressione, c’è sempre una ripresa; allora la forza che è in ognuno di noi prende il sopravvento e sfidando se stessi, o la patologia, persino sfidando Dio (ognuno reagisce a proprio modo), si scopre una potenza sconosciuta.
Ogni disabilità richiede adattamento e soprattutto istinto di sopravvivenza; queste due qualità non servono solo al disabile, ma sono necessarie anche a chi con lui vive una patologia o un problema fisico o motorio o di qualsiasi altra forma. Si parla spesso di “disabili”, si parla di come aiutarli, come alloggiarli, come “gestirli” (termine che io detesto) come se un disabile quasi non fosse una persona con sentimenti, ma una sorta di pacco postale (scusate la provocazione), un semplice problema da gestire. Che si abbia una disabilità dalla nascita o da un certo periodo della vita non cambia, dal momento in cui si è impediti nella propria autonomia si entra in un tunnel o in un labirinto (allegoria che mi ha suggerito Laura) la cui ricompensa per l’uscita è solo una piccola percentuale di autonomia in più e tanta stima da parte della società (facile mostrarsi vicini sostenitori di chi è ormai vincente!).. E la società? Cosa fa? La società spesso, quasi in maniera inconsapevole, si chiude in un proprio perbenismo utopistico, frutto di un buon egoismo o di un briciolo di ipocrisia ben mescolata a pseudo- religiosità o finta carità cristiana e ostentando un’enorme pietà (uno dei sentimenti meno utili al mondo e più nocivi per chi la subisce) prende distanze. Non smetterò mai di dirlo: per la società un disabile può tranquillamente vivere in casa, non uscire, non avere una vita sociale, per egoismo, per indifferenza o per una forma d’ignoranza secondo la quale non bisogna opporsi al proprio destino e alle proprie limitazioni.
Ma al di là dell’ambito comportamentale del problema “disabile” o “disabilità”, bisogna partire dal presupposto che “disabilità” è solo sinonimo di (parziale o totale) mancanza di autonomia o sinonimo di patologia, ma non è sinonimo di diversità , né di inferiorità, né di inettitudine; è oggi più che mai necessario disabilitare il concetto di disabilità e abbattere ogni limitazione, ogni regola limitativa, ogni barriera architettonica, sotto forma di pregiudizi, presente nella mente di molti, bisogna, insomma, combattere per imporsi perché nulla sia più un impedimento.
Ogni disabilità richiede adattamento e soprattutto istinto di sopravvivenza; queste due qualità non servono solo al disabile, ma sono necessarie anche a chi con lui vive una patologia o un problema fisico o motorio o di qualsiasi altra forma. Si parla spesso di “disabili”, si parla di come aiutarli, come alloggiarli, come “gestirli” (termine che io detesto) come se un disabile quasi non fosse una persona con sentimenti, ma una sorta di pacco postale (scusate la provocazione), un semplice problema da gestire. Che si abbia una disabilità dalla nascita o da un certo periodo della vita non cambia, dal momento in cui si è impediti nella propria autonomia si entra in un tunnel o in un labirinto (allegoria che mi ha suggerito Laura) la cui ricompensa per l’uscita è solo una piccola percentuale di autonomia in più e tanta stima da parte della società (facile mostrarsi vicini sostenitori di chi è ormai vincente!).. E la società? Cosa fa? La società spesso, quasi in maniera inconsapevole, si chiude in un proprio perbenismo utopistico, frutto di un buon egoismo o di un briciolo di ipocrisia ben mescolata a pseudo- religiosità o finta carità cristiana e ostentando un’enorme pietà (uno dei sentimenti meno utili al mondo e più nocivi per chi la subisce) prende distanze. Non smetterò mai di dirlo: per la società un disabile può tranquillamente vivere in casa, non uscire, non avere una vita sociale, per egoismo, per indifferenza o per una forma d’ignoranza secondo la quale non bisogna opporsi al proprio destino e alle proprie limitazioni.
Ma al di là dell’ambito comportamentale del problema “disabile” o “disabilità”, bisogna partire dal presupposto che “disabilità” è solo sinonimo di (parziale o totale) mancanza di autonomia o sinonimo di patologia, ma non è sinonimo di diversità , né di inferiorità, né di inettitudine; è oggi più che mai necessario disabilitare il concetto di disabilità e abbattere ogni limitazione, ogni regola limitativa, ogni barriera architettonica, sotto forma di pregiudizi, presente nella mente di molti, bisogna, insomma, combattere per imporsi perché nulla sia più un impedimento.
Comments
gestire i disabili: invito chi legge e vuole gestire qualche disabile a fare altro nella vita, perché come me ce ne sono altri, che lotteranno fino alla morte affinché non si lucri più su di noi (vedasi convegni o seminari con nomi altisonanti e personaggi dello spettacolo pagati, dico pagati, pure bene, altro che evento benefico! ed altro che si organizza per far vedere che, i soldi presi con un fondo, sono andati per qualcos'altro, oltreché nelle tasche diu chi si li divide fregandosene di chi ha bisogno e continuando a dire di gestire i disabili!!) noi creature che abbiamo un modo diverso di vivere il mondo, siamo stanchi di tanti soldi rubati e siamo anche stanchi di essere gestiti, di essere messi da una parte per mangiare meglio tutti i fondi che la comunità europea stanzia anche per noi italiani..
hai ragione: lottare, ma mica per finta lorena, sul serio, ed io lo faccio da quando sto così... prima passando davanti a una tv ho sentito questa frase, su rai3 ovviamente: dobbiamo reagire, ci fanno la guerra e noi dobbiamo reagire! risposta: solo i codardi vogliono sangue, se non sai mordere a cosa serve mostrare i denti? la mia su questa frase: non voglio sangue, per carità, ma manco che mi dissanguino, e anche se non so mordere, io non mostro i denti, ma un bastone.. ;) ciao a presto, laura
http://www.ognisette.it/news/lucca.-lauser-aderisce-al-progetto-201cmobilita-gratuita201d-e-cerca-sponsor-per-un-furgone-per-il-trasporto-dei-disabili